
Cari cicloamorosi come vedete ho cambiato residenza... però lo spazio interno non era sufficiente l'ho parcheggiata fuori. Saluti da parte del mitico con tanti auguri per le festività. Saluti, il mitico
Proposte, commenti, idee.
All’appuntamento per le nove alle Cascine ci ritroviamo in sei dei sedici componenti l’inossidabile e glorioso gruppo Cicloamoroso: Beppe “il Mitico”, Franco, “il Moro delle Signe”, Sergio “il Presidente”, Leonardo “il Graspa”, Alberto “Robic”, Raffaella “Raffa”.
ua tournee di Bologna, ma un’altra macchina vuol passare e interrompe il dialogo. Ora è la volta del ”Moro delle Signe “al quale chiedo notizie di Anna, la quale per motivi di lavoro si vede sempre più di rado. Poche battute e velocemente si stacca da me e raggiunge gli altri. Ora la strada è più tranquilla ed io devo un po’ forzare per non rimanere staccato. Per fortuna c’è un ritardatario: Simone il “Rampicone” che, pur essendo arrivato in ritardo all’appuntamento, si è detto convinto: “Tanto li ripiglio, li ripiglio!” e così è stato. Sta riprendendo fiato ed io glielo faccio riprendere con comodo; tanto serve anche a me.
Porta trecentesca verso Faenza che, percorrendo tutta la via Faenza e traversato il viale, si può ancora vedere. Anche Il Forte Belvedere è nato per cannoneggiare Firenze dall'alto in quanto nessun nemico poteva arrivare dal dietro: non esisteva il viale dei Colli e quindi non era possibile attaccare da quella parte. Inoltre la Fortezza è collegata al giardino di Boboli e al Palazzo Vecchio, residenza dei Medici, i quali attraverso il corridoio Vasariano (costruito in appena cinque mesi ) in caso di fuga potevano facilmente raggiungere il Forte senza essere notati e in piena sicurezza..




Ogni fiorentino che percorre le Cascine alla estremità del parco inevitabilmentes 'imbatte nel monumento all'Indiano a forma di pagoda, al centro della quale emerge il busto del Maharaja. Dopo avere osservato la statua giriamo intorno alla pagoda ammirandone la preziosa fattura in pietra a forma di baldacchino, contornata da una preziosa cancellata. Sotto il monumento in quattro lingue: italiano,inglese, indi e punjabi si descrive la storia dello sfortunato principe. Nell'osservare il suo busto è che nonostante la sua morte sia avvenuta a vent'anni (come scritto sulla lapide) a ben guardarlo ne dimostra di più, ma forse è solo una mia impressione. Il monumento fu costruito nel 1870 dallo scultore inglese Carlo Francesco Fuller. La storia, quella che ci interessa e che ho potuto raccogliere, è la seguente: il giovane principe indiano Rajaram Chuttraputti, Maharaja di Kolhapur, per migliorare le sue conoscenze si recò in Inghilterra nell'ottobre del 1870 con tre mogli e un numeroso seguito di cortigiani. A Londra, dove era andato per studio, fece una breve sosta per salutare la Regina Vittoria che non trovò perché assente, ma fu ricevuto con tutti gli onori del rango dall'allora Primo Ministro William Ewart Gladstone il quale consigliò al Maharajah di percorrere il suo viaggio di ritorno verso l'India visitando Parigi e Nizza e Genova e da lì trasferirsi a Firenze. Durante la sua breve permanenza a Firenze ne approfittò per ammirare le bellezze della città che ben presto divenne a lui cara essendo amante dell'arte. Alloggiava al Grand Hotel di Piazza Ognissanti quando fu colpito da un improvviso malore, probabilmente da un attacco derivato da un infezione polmonare che si trascinava da tempo e che il 30 novembre del 1870 lo uccise all'età di vent'anni. Nel rispetto del rito braminico il cadavere doveva essere bruciato e le sue ceneri disperse alla confluenza di due fiumi. A Firenze l'unica confluenza possibile era quella dell'Arno con il torrente Mugnone e quello fu il luogo che fu scelto per eseguire il rito. Per bruciare il cadavere del Principe il Comune di Firenze, nella persona di Ubaldino Peruzzi, diede il permesso di erigere la pira sulla punta estrema delle Cascine dove ora si erge il monumento. Secondo la tradizione, anche le tre mogli dovevano seguire le sorti del marito facendosi bruciare insieme. Per fortuna non rispettarono la tradizione del Sati e si salvarono. Molti fiorentini parteciparono al macabro rito e da allora il luogo venne chiamato "l'Indiano". Nel 1972 nei pressi del monumento fu costruito il viadotto che scavalca l'Arno, al quale venne dato il nome di Ponte all'Indiano.