domenica 24 aprile 2011

Bici Nòva - Zio Vecchio.




E' una Cannondale CAAD 8, cambio Shimano Tiagra con ricca tripla, e ci ho già fatto... 0 chilometri. Sabato c'era pioggia, domenica era Pasqua e lunedi troveremo qualche altra scusa.
Perché, anche se la bici è nòva, lo Zio è sempre quello e di un anno più vecchio, dal 21 aprile.

Perché bici e cambio stranieri?
Lo sapete, vero, che per non aver problemi nella vita si devono seguire queste semplici regole?
  • Bici americana
  • Cambio giapponese
  • Moto giapponese
  • Auto tedesca
  • Donna a pagamento
Semplice ed economico, no?

Zio Frenchi

martedì 12 aprile 2011

Un racconto di Beppe: La Serpentina.

Che pena veder fuggir gli anni senza poterli fermare, per lo meno rallentarli! Scorrono veloci e talvolta sembri un birillo pronto ad essere colpito dalla palla lanciata da un giocatore al Bowling. Ne avverti il suo sibilo, senti l’aria smossa intorno alla tua testa, poi il sibilo si spegne, respiri con calma, sei salvo, non ti ha neanche sfiorato. Vorresti pensare ad altro, non all’invecchiamento, ma è impossibile, questo pensiero dopo una certa età te lo porti incollato insieme a qualche dolore fisico che ti fa pensare alla palla lanciata che corre sulla guida per far precipitare i birilli. Così pensi che un giorno o l'altro colpisca anche te con tutti i tuoi anni (birilli)... Ma questo non è un mio pensiero fisso in negativo, ne ho anche di positivi che sempre mi accompagnano in questa vita. Attualmente l’ottimismo è un po' cambiato se l’è portato via la gioventù; noto, ad esempio, che le cose, anche le più semplici, sono cambiate, come il raderti davanti allo specchio fischiettando, ora non lo fai più. Le tue labbra non emettono più alcun suono, l’immagine è diversa e alla svelta cerchi di farla sparire al più presto, sembra non appartenerti, troppe rughe segnano il tuo volto e gli anni, come gli anelli dei tronchi degli alberi recisi, si vedono tutti. Allora cerco di recuperarmi: come? Tenendomi impegnato in vari modi: leggo, scrivo, cerco di non isolarmi. La mia passione più grande è quella di andare in bicicletta. Qualche anno fa facevo parte di un gruppo di ciclisti della domenica. Ci riunivamo sempre nello stesso posto, decidevamo il percorso e, un po' in fila indiana e in qualche tratto affiancati, ci scambiavamo qualche chiacchiera fino ad arrivare al posto prestabilito. Cercavamo un bar per un cappuccino e una pasta e poi via felici di nuovo verso casa. Ora non è più così, dopo vent'anni pedalati insieme, per ovvi motivi il gruppo si è sciolto. Così pedalo da solo. Mi sono scelto un percorso pianeggiante di trenta chilometri, sempre il solito, che faccio ogni domenica in tranquillità, perché poco trafficato. Ho denominato il percorso la serpentina in quanto si snoda serpeggiando fra i vari paesi di campagna. Da qualche domenica mi sono accorto che dopo una secca curva mi appare una casa bassa, tinta in giallo. C'è sempre un giovane uomo che con cura pulisce o le persiane o i vetri, oppure lava il piccolo marciapiede prospiciente l'ingresso. Ogni volta che passo lo trovo sempre indaffarato. Ci scambiamo qualche sguardo, accompagnato da un sorriso, ma niente più. Una domenica, in pieno agosto, sotto un caldo soffocante, fui preso da una sete che mi aveva seccato la gola. Mi fermai, mentre lui stava spolverando le persiane, gli chiesi un bicchiere d'acqua. L'uomo interruppe il suo lavoro e ben lieto mi fece entrare nella sua casa che aveva un buon profumo di pulito. Mi fece sedere vicino al tavolo e dopo pochi istanti arrivò con una fresca bottiglia di acqua e un bicchiere che sveltamente riempì. Ringraziai e lo tracannai tutto d'un fiato. Meccanicamente me ne riempii un altro che bevvi a piccoli sorsi. Mi sentii rinato. Mentre timidamente cercavamo di conoscerci meglio, al di là della porta della cucina mi giunse un mormorio, una specie di lamento che non riuscii a ben specificare. Notai che l'uomo si era accorto che avevo percepito un qualcosa di strano, così forse per distrarmi parlò della mia Firenze, dove tutti i giorni si recava per lavoro e, con il traffico che c'era se fosse potuto andare in bicicletta, mi diceva, sarebbe stato ben felice. Dopo un po' capii che l'uomo aveva bisogno di finire il suo domenicale impegno per le pulizie. Con una stretta di mano mi congedai ringraziandolo per avermi tolto quella gran sete che avevo. Appena inforcata la bicicletta mi voltai e gli dissi: “Alla prossima domenica!” Feci gli ultimi sei chilometri che mi separavano dalla mia casa pensando a quella dell'uomo, cosi linda e precisa ma che al suo interno doveva nascondere qualcosa di misterioso. La settimana passò presto finché giunse la domenica, quella che avevo promesso all'uomo di rivederlo. Inforcai la bicicletta e mi diressi verso la sua casa nella speranza di carpire il segreto di quei lamenti. Pedalai veloce, giunto all'ultima curva vedi la casa dell'uomo, ma lui che spazzava, puliva le persiane e si dava fare come le altre domeniche, non c'era. Scendo dalla bicicletta, l'appoggio al muro e suono il campanello. Nessuno risponde. Sto per andarmene, quando la porta d'un tratto si apre. Esce l'uomo che quasi non riconosco. Il suo aspetto era sciatto, vestiva una sporca tuta blu, la sua barba incolta non rasata da qualche giorno dava l'impressione di essere un altro. “Buongiorno”, dissi. Lui contraccambiò il saluto senza entusiasmo, mi sentivo a disagio a intavolare un qualsiasi tipo di discorso. Comunque mi feci coraggio e gli chiesi come stava. “Tutto bene, spero; ho l'impressione che rispetto all'altra domenica ci sia qualcosa che la turba, mi sbaglio?” “ No, non si sbaglia “, mi rispose. “Ho problemi in famiglia”. “ Perché, sta male qualcuno?”, chiesi. “Sì, ho mia madre che è molto ammalata, quasi non si può muovere dai forti dolori che ha in ogni parte del corpo che mai l'abbandonano e, per giunta non riesce più a profferire alcuna parola se non balbettando. Di giorno ho una badante che se ne prende cura, poi, alla sera, quando torno dal lavoro, sono io che le faccio compagnia tutta la notte. Però mi sento stanco, la sento sempre lamentarsi e non riesco a dormire. Gli antidolorifici sono diventati un palliativo, ormai si è assuefatta e nessuna medicina può lenire i suoi dolori. Mi creda mi sento demoralizzato, non riesco più a tirare avanti”. Cercai di confortarlo ma non trovavo le parole adatte, gli dissi di non disperare, perché la medicina ogni giorno fa nuovi progressi pertanto qualche farmaco nuovo lo troveranno anche per sua madre. L'uomo con un mezzo sorriso mi ringraziò ma, come colto da un'indicibile stanchezza, si sdraiò sul divano, si pose una mano sugli occhi come volesse isolarsi dal mondo e non profferì più nessuna parola. Mi sentivo a disagio; la sua tristezza l'aveva trasferita anche in me. Passarono attimi di assoluto silenzio. Poi l'uomo, come risvegliatosi da un profondo sonno, riprese a parlare. Si scusò per lo sfogo fattomi ma gli risposi che a volte fa bene confidarsi anche con un estraneo ed io, anche se ci eravamo conosciuti da poco tempo, lo comprendevo e se potevo essergli utile sarei stato completamente a sua disposizione. Oltre la porta della cucina, d'un tratto, provenne il lamento della madre. L'uomo non si mosse, era abituato a sentire i suoi lamenti e forse interveniva quando questi si facevano più intensi. Andò verso il frigorifero prese una bottiglia, questa volta di aranciata e me ne riempì un bicchiere. Lo ringraziai e superati gli attimi dove entrambi ci sentivamo impacciati nel parlarci, cominciammo a fraternizzare. Mi domandò notizie di me e della mia famiglia, ma subito dopo il discorso cadde sulla salute della madre. Nel parlare intuii che qualcos'altro tormentava l'uomo. Gli chiesi se fosse sposato o avesse una compagna o se, per scelta, viveva da solo. A questa mia richiesta si ammutolì. Per darsi un contegno cominciò a gingillarsi mettendo in ordine la cucina, che aveva trascurato, come le pulizie esterne che ogni domenica faceva alla casa, ma si vedeva che si sentiva a disagio. Si versò un bicchiere di aranciata domandandomi se ne volevo un altro. “No” gli risposi “stamani fa meno caldo, sto bene così, grazie” Appena ebbe trangugiato l'aranciata e posato il bicchiere sulla tavola, l'uomo improvvisamente cambiò espressione. I suoi occhi frugavano inquieti dappertutto, come volessero controllare l'ordine della stanza finché, incrociando il mio sguardo si fermarono per fissarmi intensamente. Io ero tutt'orecchi, intuivo che l'uomo stava per rivelarmi un'altra sofferenza che andava oltre la preoccupazione per la madre. “ Vede”, mi disse, “di preoccupazioni ne ho anche altre. Lei mi ha domandato se sono fidanzato, sposato, o single. Sono single ma non per scelta, è la vita che mi ha costretto ad esserlo. Sono stato fidanzato per cinque anni con una ragazza che, a dire bella è poco: la chiamavo bellissima. L'unico sbaglio che ho fatto è stato quello di averla amata troppo. Quando si ama troppo si diventa fragili e se la donna che ami se ne accorge (naturalmente non tutte) ne diventi succube e accetti qualsiasi umiliazione Mi accorsi che mi tradiva e pur sapendolo non sapevo staccarmi da lei. Un giorno però passò il segno, mi disse che era disposta ad assistere mia madre quando io non c'ero. La ringraziai e accettai. Dopo qualche tempo mia madre mi fece capire che doveva confidarmi qualcosa. Purtroppo data la malattia non poteva parlare ma a furia di gesticolare e balbettare mi fece capire che quando io ero al lavoro la ragazza si faceva accompagnare quasi tutti i giorni da qualcuno. Un giorno feci finta di andare al lavoro e a metà mattinata tornai casa e trovai la mia bellissima abbracciata con un uomo. Da quel momento la mia fragilità diventò forte come un macigno. In me scattò la voglia di vendicarmi. Un'onta simile non potevo sopportarla, aveva approfittato delle condizioni di mia madre per tradirmi sfacciatamente. La coppia fulminata dalla mia apparizione rimase immobile. Io dissi: “Continuate pure!” E per non mettere in agitazione mia madre velocemente me ne andai. L'odio si era impossessato di me. Bellissima non la cercai più, perché se l'avessi incontrata non so cosa sarebbe potuto succedere. Purtroppo il caso me la fece incontrare nuovamente. Era un tardo pomeriggio d'inverno: era già buio, qualche raro lampione spandeva una fioca luce che, a malapena, illuminava la periferica strada del borgo. La vidi. Istintivamente il sangue mi ribollì, avrei voluto aggredirla e darle una sonora lezione per l'oltraggio che mi aveva procurato, ma non ce la feci. Mi limitai a seguirla con il cuore che mi tumultuava al massimo. Bellissima si era accorta che la seguivo e accelerò il passo per distanziarmi. Io continuavo a seguirla come un'ombra. Improvvisamente attraversò diagonalmente la strada, ma una macchina che sopraggiungeva non fece in tempo ad evitarla e nonostante la brusca frenata del guidatore fu investita in pieno. Vidi il suo corpo proiettarsi per aria e ricadere con un tonfo sordo sul selciato. La macchina si fermò, cercai di soccorrere bellissima, ma non c'era più niente da fare. Era già morta, immersa in una enorme pozza di sangue. L'investitore pregò che se qualcuno avesse visto l'incidente fosse stato disposto a testimoniare in suo favore. Lui affermava che, (aveva ragione fino a un certo punto, perché andava abbastanza veloce) non aveva nessuna colpa, la donna aveva attraversato la strada senza guardare. Tre erano le persone che avevano assistito all'incidente. L'uomo cercò chi delle tre potesse testimoniare, ma subito si rivolse a me domandandomi se ero disposto a fargli da testimone. Accettai. Ecco, questa è la mia triste storia che solo a lei ho voluto confidare. Pur non avendone colpa, un po' mi sento ugualmente colpevole. In fondo sono io che, senza volere, l'ho spinta sotto la macchina. Dunque, ipoteticamente sono io l'assassino e non l'investitore che, pur avendogli fatto da testimone, ha subito due processi per poter essere ritenuto innocente. Purtroppo questo mio senso di colpa non riesco a togliermelo di dosso ed, unitamente alla malattia di mia madre, vivo la mia esistenza talvolta in modo esasperato senza essere capace di reagire. Infatti, stamattina, come avrà certamente notato, mi ha visto diverso dalle altre domeniche. Da alcuni giorni trascuro tutto, mi sono dato persino malato, tanto stando sempre in casa eventuali controlli medici mi troverebbero sempre presente. Per fortuna questi stati d'animo mi capitano di rado. Quando alla domenica m'impegno, quasi in modo maniacale, alle pulizie della mia casa la mia tensione si scarica e mi sento rilassato. Come ad esempio ora, che dopo tanto tempo sono riuscito a sfogarmi con qualcuno. Rimasi scioccato per la rivelazione dell'uomo, ma al tempo stesso felice di essergli stato utile ascoltando il suo sfogo. La sua confessione aveva suscitato in me la piena comprensione, assolvendolo da quella colpa che per pura fatalità l'aveva coinvolto. Rasserenato per essere stato da me compreso ci siamo salutati dandoci appuntamento per la prossima domenica. Inforcata la bicicletta mi accorsi che la pedalata era più sciolta e il mio animo sereno per avere aiutato quell'uomo ad essere meno disperato.

Beppe