mercoledì 10 settembre 2008

Stelvio 2: sabato 30 agosto, la montagna sacra.

“Si racconta che i 5 Cicloamorosi dormirono profondamente la notte avanti la giornata dello Stelvio: ma, in primo luogo, erano molto affaticati; secondariamente avevano già date tutte le disposizioni necessarie, e stabilito ciò che dovessero fare, la mattina.”

Magari. La sera prima, a tavola, al fresco, dalle nostre labbra era uscito di tutto men che una strategia; unico caposaldo il tentar di risparmiare i 40 chilometri da Merano a Spondigna usufruendo del comodo passaggio del Trenino della Val Venosta http://www.vinschgauerbahn.it/it/default.asp

Ma c’era molta incertezza su quale treno prendere, sul come riuscire a fare biglietti e colazione in tempo utile, in quale stazione salire a bordo. I due stinchi ed i sei litri di birra ingurgitati nel pomeriggio ancora funestavano le cavità intestinali dei tre Cicloamorosi della prim’ora, mentre i due Zii serali stavano ancora facendo trainspotting. In queste condizioni qualunque decisione è puramente casuale: unica possibile convergenza il treno delle 7.40, domani “vedremo”.

Se esistono un dio dei ciclisti, una madonna della pedivella, un santo della forcella, sabato mattina li ho visti all’opera. Durante la notte Albi non russa e mi fa dormire magnificamente, tutti sono puntuali alle 7 per la colazione, il treno delle 7.40 arriva in “perfetto ritardo” e permette ai due “zii del traispotting” di salire a bordo. Siamo tutti e cinque sul treno; poco dopo, arrivati alla stazione successiva, sale anche Martin: tutti insieme, un miracolo.

Il treno è stipato di ciclisti e bici, tanti hanno pensato di fare come noi. Probabilmente siamo gli unici italiani, almeno sul nostro vagone. Altoatesini, tedeschi, austriaci, olandesi… tutti tirati a lucido, magri ed eleganti, polpacci guizzanti, belle bici lustre ed oliate, maglie tecniche multicolori, belle cicliste abbronzate e affusolate e… tutti col biglietto. Noi… no, Martin sì, e ho detto tutto.

Per rimediare io ed il Rampicone ci dirigiamo verso la macchina emettitrice: ogni vettura ne è dotata e gli indigeni la usano senza problemi: denaro, carte, tessere: click, track, sguish, tlack, e via che cade il biglietto per sé e per la bici. Ci avviciniamo e studiamo il mostro tecnologico. Non è difficile, ce la potremmo anche fare. Solo che il biglietto in totale costa 9,5 euro, dobbiamo fare 10 biglietti (5 cristiani e 5 bici) e non abbiamo carte: dovremmo sottostare alla cinica lotteria dei resti: se la macchina non ha spiccioli hai perso! Con l’esperienza consumata dei viaggiatori intelligenti valutiamo il rapporto costo/beneficio e la probabilità che passi il controllore nel treno stipato all’inverosimile, basta un’occhiata e via, torniamo ai nostri posti senza aver speso.

Martin ha seguito tutta la scena e mi sorride. Commentiamo in tedesco: “fünf netten italienischen natürlich ohne fahrkarte” – “cinque zuzzurelloni italiani senza biglietto, naturalmente”. In tedesco suona meglio e fa meno pena.

Stazione dopo stazione, e sono tante, ci avviciniamo a Spondigna. Del controllore nemmeno l’ombra, cvd.

Finalmente Spondigna! Sole, vento, temperatura ideale. E centinaia di ciclisti che scendono dal treno e dalle macchine, salgono in sella e sciamano per l’unica strada verso la montagna sacra. Lassù, lo Stelvio.

Salendo allo Stelvio da Trafoi hai tutto il percorso davanti. Vedi metro per metro, tornante per tornante, quello che ti aspetta. Strada dritta, poi montagna verticale e lassù i ghiacciai ed i tetti dei rifugi. Tutto lì, a portata d’occhio e di gamba. Fa impressione, ma il sole e la condivisione della fatica coi mille altri ciclisti dovrebbero farci volare!

Man mano che avanziamo sul mite falsopiano fino a Prato allo Stelvio e a Gomagoi il nostro torrente di biciclette si ingrossa col contributo dei ciclisti che confluiscono dai lati. Dalle macchine parcheggiate, dagli alberghi, dalle case, dai villaggi vicini, ogni metro aggiunge un ciclista, ogni stradina un gruppetto, ogni paese un plotone. Tutti su.

Senza macchine, il solo suono degli ingranaggi, echi di voci e richiami e niente altro, a salire. Perdiamo subito Martin e Piero, Albi poco dopo. Si profila il primo dei 48 tornanti, superiamo l’hotel di Gustav Thoeni a Trafoi, cominciano le danze. Tocca a me staccarmi. Dopo un mese e mezzo di totale inattività podistico-ciclistica, con la sola forza della mente non si sale sullo Stelvio. Seguo per qualche tornante, con lo sguardo, il Rampicone e Zio Gavia, eleganti ed efficaci. Mi concentro sulla mia salita. Tornante dopo tornante non c’è respiro, non c’è appello, eppure si sale, si sale! 23 chilometri per 48 tornanti, intorno un sacco di gente che rispettosamente sale con te. Ti dà strada, ti saluta, ti rispetta, ti sorride, e quante belle cicliste! Siamo già a 1.500 metri, c’è ancora vegetazione ed i tornanti si susseguono nel bosco, un serpentone multicolore e silenzioso, e se alzi gli occhi al cielo vedi la neve e la vetta, sembra lì. Sui muretti di ogni tornante c’è gente smontata di sella che si riposa; lo faccio anch’io in un paio di occasioni. Guardi su e vedi il serpente multicolore che sale, guardi in basso e vedi ancora gente che arriva: molti sono ancora in piano, sulla diritta, altri stanno cominciando a salire; un serpente magico composto da migliaia di muscoli colorati, felici.

Saliamo. Il bosco finisce, cominciano i prati, continuano i tornanti. I pompieri di Bolzano hanno organizzato due ristori. Benedetti! E’ una gioia rifocillarsi all’aria fina dei 2.000 metri. Acqua, succhi, the e mele tagliate a spicchi. Me ne mangio una mezza dozzina a furia di spicchi. Ma è ora di andare lassù.

Ora la montagna è imponente, maestosa. La strada è più stretta, le pendenze si fanno più impegnative, il corpo del serpente rallenta ma avanza, inesorabile, nel sole.

Sembrano Ande, sembra un sentiero Inca, in cima si vedono i tetti dei rifugi, sembra una città sacra. E’ una montagna sacra oggi, senza macchine, per migliaia di ciclisti. Mancano ancora una decina di tornanti, vedo la coda del serpente, giù a valle, 2.500 metri in basso, e vedo la testa, in cima, a 2.758 metri, solo 300 metri di dislivello sopra di me. Bellissimo. E poi in cima, finalmente.

Cerco subito Zio Gavia ed il Rampicone. Cerchiamo un posto per riposarci, per mangiare e per aspettare gli altri. Individuiamo il Rifugio Pirovano che si rivelerà ottimo alla bisogna. Ma Zio Gavia è inquieto. Sente la gamba che scalpita, il polpaccio che freme, i pensieri che fuggono… ha deciso, riparte!

Va a fare il GAVIA!!! E ci lascia, al sole, ad aspettare gli altri e a goderci la giornata di gloria; noi birra e salsicce, lui di nuovo verso il cielo. Se avrà voglia di raccontarci il suo Gavia, il nostro Blob è a disposizione.

Arrivano Albi, Zio Martin e Zio Piero. Ci godiamo il sole e la brezza. Pensiamo a Zio Gavia, dove sarà adesso, in discesa, già impegnato a riguadagnar metri… un brindisi, alla salute.

Zio Martin torna a Merano, è tempo di scendere a Bormio. La discesa è un film in cinemascope. Siamo rimasti parecchio in cima ed ora siamo quasi soli a volteggiare verso valle. Il cielo è ancora sereno, senza fatica voliamo sulle curve e sui rettilinei. Mi assale la malinconia. Sto per lasciare tutto questo, perdo quota, mi sfuggono i metri, scendo! Lascio un paesaggio incredibile, le grida delle marmotte, i muri vecchi, l’altezza.

Pennelliamo curve e muretti, sgranati e soli, ognuno perso nei propri pensieri e nella cura a non finir di sotto.

Fatto un quarto di discesa ci riuniamo. Guardiamo su: un muro, un sacco di strada e tornanti.

Giù si vede altrettanto, nel tramonto.

irbix - il Moro di Signa

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