Lentamente, pedalando, tornavo a
casa dal centro. Come al solito alternavo le mie pedalate con tratti fatti a
piedi fino a quando, per il dolore ai
piedi, desistevo dal camminare e decidevo di rimontare in sella. La bella
giornata autunnale mi faceva godere il parco delle Cascine, mi beavo del sole che spariva sul filo dell'Arno, nell'ora del tramonto. Il parco è
rimasto uno dei luoghi, più o meno sicuri, per circolare in bicicletta o passeggiare a piedi. Vi transito ogni
giorno tanto che oramai mi viene spontaneo salutare con uno sguardo tutti gli
alberi che sorpasso, da quanto mi sono familiari.
Quindi, attraverso il ponte della
tranvia dirigendomi verso casa. Nell'ultimo
tratto, vicino al campo sportivo di via
del Pollaiolo, mi fermo al semaforo e attendo che sia verde per potere
attraversare in sicurezza.
Finalmente posso attraversare, faccio due passi
con la bicicletta a mano verso l'altro
marciapiede che però non riuscirò mai a raggiungere. Quando riapro gli occhi guardo in
alto e vedo nient'altro che una bianco soffitto. Mi accorgo di essere sdraiato
su una lettiga. Stupore e sgomento improvvisamente mi colgono: non so capacitarmi. Mi si
avvicina qualcuno che mi domanda se non
ricordo niente dell'incidente. “Quale incidente?” Rispondo che non ricordo
niente, tranne di aver attraversato sulle
strisce pedonali con il semaforo verde,
in piena sicurezza.
Al Pronto Soccorso mi informano che sono stato
investito da un giovane in motorino. Il trauma alla testa e le varie ferite
riportate sul corpo mi hanno reso per
molti minuti incoscente, fermando i miei ricordi al semaforo. Ripresomi dal
trauma, sono iniziati i controlli sulle parti colpite del mio corpo. La lacerazione nella parte
posteriore della gamba sinistra si presentava con perdita di sostanza che mi fu
subito suturata, unitamente alle altre ferite; quindi mi fu fatta la TAC e poi fui immobilizzato al
letto per 5 giorni. Prima di uscire dall'ospedale mi è stata fatta una nuova
TAC che risultava normale. Ora sono a casa e, tranne qualche piccola
vertigine, posso camminare su e giù per il mio ingresso (sette
metri in tutto), come fossi agli arresti domiciliari. Sto ripensando al tema
che ci siamo dati per il prossimo numero di Aghi di pino:” Un passo dopo
l'altro”. Riflettendo su quanto mi è successo ed ho descritto mi viene facile
pensare che, se al primo passo non ne fosse seguito un altro, non sarei finito all'ospedale. Però riflettendo,
tutto sommato, sono stato miracolato: potevo
anche morire.
Beppe